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Un atto di resistenza visiva contro l’invisibilizzazione e l’invalidazione di una minoranza storicamente presente nel tessuto sociale partenopeo: Il femminiello
Voglio condividere con voi il mio ultimo progetto, nato dal desiderio di esplorare l’invalidazione dei femminielli napoletani attraverso un intervento visivo forte e simbolico. Ho lavorato su immagini scansionate, manipolandole con cera nera per rappresentare la cancellazione e la riscrittura forzata di un’identità storicamente marginalizzata.
Il progetto nasce come un atto di resistenza visiva contro l’invisibilizzazione e l’invalidazione di una minoranza storicamente presente nel tessuto sociale partenopeo.
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Il femminiello (in napoletano anche femmenèlla, femmenèllo al singolare e femminiélle, femmeniélle al plurale) è usato per riferirsi a un maschio con atteggiamenti ed espressività marcatamente femminili. Spesso sovrapposto alla realtà transgenere o transessuale, il femminiello rappresenta un'identità culturale e sociale molto peculiare e storicamente ancorata nel tessuto urbano napoletano.
“Chillo è nu buono guaglione” – Pino Daniele, 1979: Ritratto di una Napoli che cambia
Nel brano Chillo è nu buono guaglione, Pino Daniele racconta con la sua sensibilità poetica una figura emblematica della Napoli popolare: una persona assegnata maschio alla nascita ma identificata con un'espressione di genere femminile. Il testo non la giudica, non la deride, ma la osserva con affetto e malinconia, in un’atmosfera tipicamente partenopea in cui ironia e struggimento convivono.
Sebbene mai esplicitamente nominato, il personaggio che emerge dalla canzone richiama la figura del femminiello, storicamente radicata nel tessuto urbano napoletano. Il femminiello, con il suo ruolo fluido tra il sacro e il profano, tra l’accettazione comunitaria e la marginalizzazione, è una presenza costante nei vicoli e nei bassi della città. Tuttavia, negli anni ’70 – epoca in cui Pino Daniele scrive questo brano – la società sta cambiando, e con essa anche la percezione delle identità di genere. L’ironia della canzone lascia trasparire il contrasto tra una cultura popolare che accoglie con leggerezza e il nuovo sguardo borghese che tende a stigmatizzare.
L’approccio di Pino Daniele è quello dell’osservatore empatico: il suo protagonista è “nu buono guaglione”, un’anima gentile, al di là delle etichette e delle convenzioni. È un ritratto di umanità che rifugge il pregiudizio, e che, nella sua semplicità, restituisce un’istantanea autentica di una Napoli che resiste alle definizioni rigide, accogliendo le sue infinite sfumature.
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Attraverso un processo di scansione delle fotografia di archivio di Lisetta Carmi e successiva manipolazione con cera nera, ho voluto creare un linguaggio materico che diventa metafora della negazione e della sovrascrittura dell’identità femminiella.
L’uso della cera nera per me ha un significato profondo: da un lato richiama il gesto della cancellazione, dell’occultamento, della stigmatizzazione sociale; dall’altro, rappresenta un elemento di resistenza, quasi un corpo che si ricompone attraverso la sua stessa negazione. Questo medium scultoreo e tattile evoca una materialità che si scontra con la bidimensionalità dell’immagine scansionata, creando un dialogo tra il digitale e l’analogico, tra il documento storico e la mia reinterpretazione contemporanea.
Non mi limito a una riflessione estetica, ma inserisco questo lavoro in un discorso più ampio sulla memoria culturale e sulle dinamiche di potere che regolano la visibilità delle identità marginalizzate. Ho scelto di lavorare sui femminielli perché rappresentano una figura liminale tra il sacro e il profano, tra il rispetto rituale e la discriminazione sociale. La loro identità fluida e resistente è spesso ignorata nelle narrazioni dominanti sulla comunità LGBTQ+ in Italia.
Il mio gesto artistico diventa così un atto politico: la scansione restituisce una memoria che rischia di dissolversi, mentre la cera nera interviene come una cicatrice visibile, una traccia di sofferenza e al tempo stesso di persistenza. Le immagini risultanti non sono semplici documenti, ma superfici di tensione, in cui il gesto della sottrazione diventa paradossalmente un atto di riaffermazione.
In un’epoca in cui la visibilità queer è ancora soggetta a processi di controllo e censura, il mio lavoro vuole invitare a una riflessione sulla violenza simbolica dell’invisibilizzazione e sulla necessità di strategie artistiche capaci di riappropriarsi delle narrazioni negate. Questa opera si configura così come un dispositivo di memoria e resistenza, in cui il corpo femminiello, sebbene oscurato, riaffiora con tutta la sua forza storica e politica
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Questo gesto artistico non è solo un atto estetico, ma una riflessione sulla visibilità queer, sulla violenza dell’invisibilizzazione e sulla resistenza culturale. Ogni immagine diventa una superficie di tensione tra memoria e oblio, tra assenza e riaffermazione. Se vuoi scoprire di più su questo lavoro, rispondi a questa mail o lascia un commento.
Ispirazioni culturali
Lisetta Carmi, I travestiti, 1965-1967
“Chillo è nu buono guaglione” – Pino Daniele, 1979