La Moda al Bivio:
Arte o Mercato?
Alexander McQueen fw 2009
Nel 1937, Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì creano un abito dall’animo surrealista, in seta bianca, con una grande aragosta stampata sul davanti della gonna. La moda si faceva ufficialmente arte e gli stilisti iniziavano a “rubare” dagli artisti. Pensiamo a Yves Saint Laurent e al suo celebre abito Mondrian, apertamente ispirato alle geometrie rigorose dell’artista olandese. Correva l’anno 1965 e il designer era in pieno blocco creativo, interrotto solo dalla visione delle opere del famoso astrattista.
Col passare degli anni, la relazione tra moda e arte si fa sempre più profonda e intricata: lo stilista stesso diventa artista, e una gonna pomposa e dall’animo architettonico non ha nulla da invidiare alle sculture esposte nei musei. Basterebbe fare due nomi, John Galliano e Alexander McQueen, e non aggiungere null’altro. Il loro contributo è stato così immenso da rendere impossibile ignorare la moda come forma d’arte a tutti gli effetti. Sempre a loro dobbiamo la trasformazione della canonica catwalk in un momento teatrale e performativo. Indimenticabile la drammaticità dei primi anni 2000, la cura maniacale per la struttura e le forme, la centralità dei tessuti e l’importanza del tema della collezione.
Riflettendoci bene, non sono queste le caratteristiche proprie delle opere d’arte esposte in musei e gallerie? Non sono elementi chiave, ormai consumati (con buona pace degli studenti), nei libri di storia dell’arte?
Domande retoriche: la moda è arte e si astrae, si eleva dal suo ruolo canonico di semplice strumento per soddisfare un bisogno umano primario.
Ma in una società dove stupire è sempre più difficile, in cui anche le menti più creative si trovano a dover fare i conti con il dramma della globalizzazione e del consumismo, in un contesto in cui il nome pesa più del talento e si lascia davvero poco spazio ai nuovi creativi, non dovremmo forse chiederci: quello che vediamo oggi in passerella è ancora arte?
Le grandi maison, ormai, sembrano più preoccupate di produrre hype che bellezza, più interessate a vendere logo che raccontare storie. La fast fashion domina, e anche il lusso sembra essersi piegato alle logiche del mercato: collezioni su collezioni, drop su drop, senza il tempo di respirare, riflettere o creare con genuinità. La sfilata, intesa ormai come momento performativo, può e deve scoperchiare vasi di Pandora e smuovere gli animi su tematiche importanti. I capi, combinati e matchati, possono e devono raccontare una storia, proprio come le opere che vediamo esposte nei musei.
E invece, le ultime sfilate hanno lasciato un po’ d’amaro in bocca. L’Icaro di Schiaparelli non ha raggiunto il sole e Sabato De Sarno ha salutato Gucci lasciandoci davvero poco di memorabile. Un po’ di speranza, certo, c’è ancora: Alessandro Michele, con il suo tocco visionario, ha posto le basi per un progetto innovativo e al contempo rispettoso dell’archivio di Valentino, molto distante dalla narrazione dispotica e ultracontemporanea di Prada. Certo è che l’ultimo esempio di vera teatralità e qualità artistica risale ormai allo scorso anno, con Galliano e il suo saluto definitivo (che ci spezza il cuore) a Maison Margiela.
Chi ama la moda, intanto, spera che questo addio non segni la fine di un’era in cui – e qui ci ripetiamo – un copricapo poteva stare in un museo e non invidiare nulla a una statua in marmo. La moda dovrebbe continuare a essere quel ponte fragile ma potente tra il quotidiano e il sublime, tra il tessuto e l’emozione. Ma oggi, quel ponte sembra scricchiolare sotto il peso di loghi troppo grandi e idee troppo piccole.
Con la speranza che l’aura dei prodigi del fashion – la triade McQueen, Mugler e Galliano – vegli ancora su di noi, e con la consapevolezza che la moda possiede un potere culturale potenzialmente infinito, vi lasciamo con un quesito:
La moda, che tanto ha faticato a rientrare nel ventaglio delle arti e lotta con le unghie e con i denti per difendere quel posticino di fronte a critici e scettici, rischia di retrocedere (causa consumismo e omologazione) a ruolo di merce?
di VITTORIIIƏ Collective